Penso che tutti gli allenatori abbiano fatto un loro percorso calcistico e abbiano una storia da raccontare fatta di tante esperienze, di molte scoperte e di qualche momento rivelatore.
Io ricordo il mio percorso calcistico con emozione e, oggi, anche con gratitudine, per gli spunti di riflessione che mi ha offerto nella mia formazione come allenatore.
Quella che vi voglio raccontare è la storia vera degli allenatori invisibili che hanno contribuito a far crescere calcisticamente le passate generazioni.
Gli allenatori invisibili, come dice la parola stessa, erano veramente invisibili, nessuno poteva accorgersi della loro presenza ma c’erano, eccome se c’erano, e sapevano benissimo cosa volevano insegnare a noi ragazzi. Volevano condurci ad allenarci su vari aspetti del gioco del calcio, quali la tecnica, le situazioni di gioco (tattica individuale), la coordinazione, i comportamenti, il divertimento, senza però che noi ce ne accorgessimo.
Ma come facevano gli allenatori invisibili ad avere un’abilità così straordinaria?
Beh, di certo erano tutti d’accordo su una cosa: puntare sull’entusiasmo, sulla passione e sulle motivazioni del singolo ragazzo per garantire principalmente la sua crescita individuale attraverso un programma mirato. Forse usare la parola ‘programma’ è un azzardo, dato che gli allenatori invisibili ‘navigavano a vista’, ma di sicuro i presupposti da cui volevano partire per operare erano i migliori.
L’allenatore invisibile a cui era affidata la tecnica individuale ha insegnato ad ogni ragazzo a dedicare ore ed ore al gioco con il pallone, provando e riprovando i vari gesti tecnici, fino a che le continue ripetizioni lo portavano a dominare la palla in modo soddisfacente. Questo allenatore invisibile si avvaleva di alcuni validi collaboratori. Prima di tutto il Muro che insegnava a restituire il passaggio in modo preciso e con la giusta potenza. Altrimenti sai che corse per recuperare i palloni calciati male! Il Cortile, la Strada oil Giardino venivano in aiuto quando si trattava di imparare a padroneggiare il palleggio, a trovare il giusto equilibrio, senza far cadere la palla, di piede, di coscia, di testa, sensibilizzando le varie parti del corpo a controllare il pallone. Il Portone era un altro importante collaboratore e aveva un significato particolare, perché rappresentava la porta, il tiro in porta….il gol. Egli chiedeva precisione e l’uso dei vari modi di calciare, di interno piede, di collo piede, d’interno o esterno collo piede, cercando l’effetto.
C’era poi un allenatore invisibile molto particolare, dedicato solo alla sensibilità del piede e questo era veramente un ‘bullo’ mica da poco. Ti costringeva a calciare la palla e a colpire l’intersezione a croce del telaio della finestra, quello che formava i suoi quattro riquadri di vetro. Qualche volta andava bene, altre volte si doveva cambiare il vetro e subire le conseguenze da parte di chi era veramente visibile…
Come per un tacito accordo stabilito dal loro programma allenativo di crescita del ragazzo, gli allenatori invisibili ti mandavano poi a mettere in pratica la tecnica appresa per conto tuo e a trasferirla nelle situazioni di gioco, e così ecco finalmente le mitiche partite.
Nell’ambito delle situazioni di gioco, avevamo un allenatore invisibile veramente straordinario: lui conosceva non solo i vari aspetti del gioco che erano volti alla crescita tecnico/tattica del ragazzo, ma anche quelli che riguardavano i comportamenti e il divertimento. Questo allenatore invisibile ci ha insegnato l’arte di sapersi arrangiare: le partite incominciavano dove capitava, per strada, nei vicoli, all’oratorio, con porte improvvisate, collocando velocemente a terra, per non perdere tempo, quello che avevamo a disposizione al momento. Così le porte potevano essere suggerite da sassi, piccoli cumuli di terra, magliette ammucchiate, giacconi ammonticchiati. I muri delle case, le reti di recinzione, i cordoli dei marciapiedi sostituivano delimitatori, coni e paletti. Non c’erano le casacche che distinguevano le squadre, questo allenatore invisibile lasciava che in campo ci fosse un’infinità di colori. Ma noi sapevamo benissimo a chi passare la palla. I compagni li distinguevamo dal viso, dalla voce, dalla corsa, dalla particolare maglietta che indossavano quel giorno. L’allenatore invisibile voleva che imparassimo l’adattamento, che apprendessimo ad alzare la testa, a guardare dove passare la palla, in sintesi l’aspetto cognitivo/percettivo e la visione periferica. Il pallone con cui giocavamo era di qualcuno di noi, a turno, e poteva essere di gomma, di cuoio, grande o piccolo, a seconda del compagno che quel giorno generosamente lo portava, e ci si doveva adattare. Si giocava a gambe scoperte, senza parastinchi. L’allenatore invisibile ci aveva insegnato ad essere rapidi e agili nei movimenti per evitare di prendere qualche involontario calcione.
C’era anche l’allenatore invisibile dell’autonomia. Ci aveva insegnato a mettere nel gioco quello che ognuno di noi sapeva, e ciascuno era libero di provare a rischiare una giocata, un dribbling di troppo, o giocare semplicemente solo con il piede a lui più congeniale. Attraverso la prova/errore costruivamo il nostro personale modello di gioco. Non c’erano arbitri che fischiavano, ci si arrangiava. Anche se ogni tanto per un gol dato o non dato o per un’entrata un po' dura, c’era un momentaneo confronto, poi tutto si risolveva. Così l’allenatore invisibile ci insegnava a conoscere i vari caratteri e le personalità dei compagni. Non c’era poi nessuno che interveniva su ginocchia sbucciate, l’allenatore invisibile ci aveva insegnato il coraggio, ci aveva addestrati a superare il temporaneo dolore per poi ricominciare a giocare.
L’allenatore invisibile della crescita motoria ci aveva insegnato la coordinazione e l’acrobatica. Quando, per esempio, la palla andava oltre il muro o al di là della rete di recinzione, o si fermava tra i rami di un albero, colui che l’aveva maldestramente calciata via, doveva prontamente e rapidamente andare a recuperala, e così acquisivamo senza accorgercene competenze motorie inimmaginabili.
Gli allenatori invisibili, tutti insieme, hanno ottenuto un grande risultato: ci hanno insegnato, assieme alla spontaneità dei gesti, la passione, il desiderio di giocare, il gusto del divertimento, e hanno contribuito a sviluppare la creatività, la fantasia, l’intuito, l’astuzia.
Ora viviamo nell’era del computer, di internet e dei videogiochi, e i nostri giovani non possono più vivere questa storia, perché si confrontano con una realtà completamente diversa.
Di fatto il calcio odierno ha subito una trasformazione impressionante. Ripetere quello che è il passato non solo è difficile ma diventa improponibile. Le nuove generazioni hanno però le capacità per assimilare prontamente quelli che sono i messaggi degli allenatori visibili, i loro allenatori. Ora è compito degli allenatori visibili usare le nuove conoscenze e competenze per ricreare i presupposti, per quanto possibile, di quelle situazioni di gioco e quello spirito libero, che gli allenatori invisibili avevano favorito, stimolando la vivacità e la creatività dei ragazzi e promuovendo il loro spirito di iniziativa.
Questo è l’obiettivo di Facciamo esercizio